Nelle relazioni
umane, il "relativismo" travalica le formule, le ipotesi, le
congetture fisico- matematiche esistenti, e, aggiungerei, che potranno essere mai
pensate. Molte volte usiamo espressioni come "l'altra metà" o
"la metà spirituale" o ancora "la mia metà", "la
perfetta metà" come nella legenda della separazione dell'androgino (legenda
che adoro), che non vanno oltre il loro disegno verbale, che non sono altro che
modi di dire esemplificativi, di comodo. Quanta profondità, passione e inquietudine,
rappresentiamo pronunciando queste formule verbali, se per primo, chi le enuncia
non ne conosce le ragioni profonde che le determinano. Tutto è confinato nelle
certezze, che crediamo assolute, e che, spesso, mancano dei presupposti di conoscenza,
di emozioni, d'amore. Per questo sono portato ad affermare che l’esistenza
stessa delle relazioni umane è legata alla loro rappresentazione, sia pubblica sia
privata, perché non è vero, che l'accettazione da parte degli altri ci impone
di essere come non siamo, perché siamo, esattamente così come ci rappresentiamo,
perché, forse, non abbiamo un’anima personale (o non ne siamo consapevoli) o perché
la deleghiamo a un sentire collettivo. Ecco, quindi che se parliamo della “mia
metà” o argomenti simili, concepiamolo solamente in termini probabilistici,
come la "metà relativa", ci potremmo ritrovare in un mondo di verità,
di autenticità, ci potremmo ritrovare nel mondo migliore di cui tutti noi andiamo
cianciando.
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